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GLOSSARIO INTERCULTURALE

 

APARTHEID

Segregazione razziale, istituita ufficialmente nel 1948, che ha caratterizzato la cultura, la politica, la società, l'economia e la vita nel Sudafrica del XX secolo: Giustificata con la ragione che ciascun gruppo razziale (bianchi, coloured, indiani, neri) avrebbe prosperato meglio con uno sviluppo separato, di fatto favorì il predominio politico ed economico della minoranza bianca (meno del 20% della popolazione), tenendo le altre comunità nella povertà e nell'ignoranza per impedire che in esse maturasse coscienza civile e che si reclamassero i medesimi diritti e benefici di cui godevano i bianchi. L'apartheid durò fino al 1993, quando fu abolita con un referendum.

ASSIMILAZIONE

Il concetto di assimilazione si oppone a quello di integrazione e indica un processo che concepisce i rapporti fra gli immigrati e la società ospitante sulla base di una conformazione ai modelli di comportamento di quest'ultima, i quali si impongono alla personalità dell'immigrato e lo obbligano a spogliarsi di ogni elemento culturale proprio (deculturazione e depersonalizzazione). L'assimilazione implica un ruolo passivo di una cultura nei confronti di un'altra - la cultura dominante - e, congiuntamente, un giudizio di valore nel quale certe culture sono considerate superiori ad altre.

1. BAMBINI DI STRADA / BAMBINI PER STRADA

Oggi si preferisce distinguere tra bambini di strada veri e propri, ovvero i minori non accompagnati che, privi di referenti adulti, non vanno a scuola e vivono per conto proprio, spesso associati a bande di coetanei, e i bambini per strada, ovvero quelli che pur abitando con i genitori o altri parenti ed eventualmente andando a scuola, passano la maggior parte del tempo fuori casa senza la vigilanza di un adulto responsabile. Entrambi si dedicano spesso ad attività irregolari che vanno dall'accattonaggio alla rapina. Ma mentre nel primo caso si tratta di bambini abbandonati o cacciati dai genitori oppure orfani, a spingere i bambini "per strada" sono invece gli stessi genitori o altri parenti che ricavano dalle attività dei figli di che sostentarsi.

2. BAMBINI SOLDATO

La presenza di bambini armati, per lo più di età compresa tra i 10 e i 16 anni, è accertata in 25 paesi africani, in alcuni paesi dell'Asia (come Afghanistan, Myanmar, Sry Lanka e, fino a poco tempo fa, Cambogia) e in Sud America, in particolare in Colombia e Perù. In alcuni paesi europei come Bosnia-Herzegovina, Kosovo e Cecenia molti bambini hanno riempito le file di gruppi armati di opposizione o di gruppi paramilitari filogovernativi, e anche gli Stati Uniti hanno riconosciuto la partecipazione di soldati diciasettenni ad operazioni militari nella prima Guerra del Golfo, in Somalia e in Bosnia. Secondo i dati dell' UNICEF i bambini soldato nel mondo sono 300.000 e combattono in 41 paesi diversi. L'arruolamento dei bambini soldato avviene in diversi modi; questi possono spontaneamente prestare servizio ai loro leader tribali e nazionali, o dipendere da milizie private, oppure essere costretti a militare negli eserciti regolari, o ancora forzati dai combattenti che li hanno rapiti alle famiglie.
Oltre a scontrarsi con altri uomini armati, sono addestrati per aggredire le popolazioni civili inermi.

3. SPOSE BAMBINE

Il matrimonio precoce viola i diritti dell'infanzia e compromette la salute e lo sviluppo delle ragazze in numerose regioni. In Africa, quasi due terzi delle donne si sposano molto giovani: vi sono contratti di matrimonio per bambine di 4 o 5 anni e talvolta anche prima della loro nascita. Alcune di loro si sposano e lasciano la loro famiglia poco dopo la firma del contratto ma la maggior parte raggiunge il marito tra i 10 e i 13 anni.
Questa usanza permette alle famiglie povere di migliorare la loro condizione economica, di stabilire legami con le famiglie più ricche, di garantire la verginità delle figlie al momento del matrimonio o di evitare che restino senza marito più tardi. La pratica ha effetti nefasti sulla salute e il benessere psicologico delle ragazzine.

Etimologicamente con "comunicazione" si intende "porre in comune", quindi condividere, scambiare. L'essere umano non comunica solo con la parola, ma anche con tutti i suoi comportamenti, mediante ogni manifestazione, sia a livello cognitivo che emotivo. In un certo senso, comunicare equivale anche ad "interagire", ossia influenzarsi reciprocamente.
L'aggettivo "interculturale", aggiunto al concetto di comunicazione, rimanda alla modalità di comunicare fra soggetti con retroterra culturali e linguistici differenti mediante la quale è possibile innescare un processo che presuppone la messa in relazione, l'interazione, lo scambio, il dialogo sul piano culturale e dei valori.

COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO

La cooperazione allo sviluppo è una strategia di intervento che la comunità internazionale ha cominciato a elaborare a partire dagli anni '80, in seguito alle ripetute crisi, carestie e catastrofi naturali che hanno colpito il Terzo mondo. Tale strategia non intendeva più soltanto fornire aiuti materiali e assistenza a breve termine, bensì prolungare i suoi benefici nel tempo, aiutando le popolazioni colpite a riorganizzarsi autonomamente.
Oggi, l'ONU, le istituzioni private di cooperazione (ONG, organismi non governativi), e i governi preferiscono parlare di sviluppo sostenibile. Un settore a parte della cooperazione è costituito dal commercio equo e solidale, che aiuta le economie dei paesi in via di sviluppo portando i loro prodotti sui mercati dei paesi ricchi attraverso canali preferenziali.

Sotto la famiglia dei diritti umani si raggruppa una serie di prerogative dell'individuo che sono oggetto di convenzioni e sono ritenute intangibili e inderogabili.
I diritti inderogabili fondamentali sono quattro: il diritto alla vita e all'integrità fisica; il diritto a non subire trattamenti inumani e degradanti; il diritto a non essere ridotti in schiavitù; il principio di non retroattività della legge penale, cioè il diritto a non essere perseguiti per atti commessi in passato quando non costituivano illecito.
Vi sono poi altre categorie di diritti: i diritti civili, come la libertà di pensiero e di religione, e politici, come il diritto di voto, detti anche di prima generazione, che sono alla base della carta dell'ONU; i diritti economici e sociali (diritto al lavoro, alla salute, alle libertà sindacali) detti di seconda generazione, e i diritti di solidarietà o di terza generazione (diritto allo sviluppo, a vivere in un ambiente sano e il principio all'autodeterminazione), caratterizzati dalla loro natura collettiva.

DISCRIMINAZIONE

Dal punto di vista semantico discriminare vuol dire riuscire a discernere e distinguere fra cose e persone e ha una valenza neutra o positiva. Nel contesto multiculturale, invece, si caratterizza in quanto negazione di diritti a dei soggetti o a delle comunità di individui, anche rispetto all'accesso a delle risorse, per motivi di carattere etnico, linguistico, religioso o culturale. Pur essendo meno forte, il concetto di discriminazione si avvicina a quello di xenofobia, al quale si rimanda per conoscerne i risvolti negativi per i soggetti destinatari.

L'educazione è l'atto pratico, l'azione, che l'educatore compie nei confronti dell'educando per dare un proprio apporto sul piano culturale e dei valori, per aiutarlo ad estrinsecare le proprie potenzialità e a raggiungere la propria forma migliore di vita. La pedagogia è una disciplina che conduce una riflessione teorica su tutto ciò che concerne l'educabilità e l'educazione dell'essere umano.

EDUCAZIONE INTERCULTURALE

Educare in modo "interculturale" significa realizzare praticamente i principi della pedagogia interculturale: educazione alla pace, ai sentimenti, all'ascolto, al dialogo, alla gestione dei conflitti, alla legalità e al rispetto dei limiti. Nella letteratura pedagogica di lingua italiana, ed in parte anche francese, è possibile trovare l'aggettivo "interculturale", non riferito ad alcun concetto specifico (altri autori parlano di "interculturalità"). A livello semantico, l'aggiunta del prefisso "inter" alla parola "cultura" presuppone la messa in relazione, l'interazione, lo scambio di due o più elementi culturali.

Forma di educazione scolastica ed extrascolastica, che tratta le dinamiche dei rapporti tra popoli del mondo in termini di interdipendenza e affronta i problemi dello squilibrio e delle disuguaglianze Nord-Sud.
L'educazione allo sviluppo consiste nella conoscenza delle problematiche (culturali, economiche, ecologiche) e, parallelamente, nella sperimentazione di nuove relazioni sociali basate sulla cooperazione. Ricerca i mezzi per contribuire alla crescita internazionale in forme "sostenibili" di sviluppo superando una visione evolutiva lineare per stadi, secondo cui tutti i paesi meno sviluppati devono imitare le nazioni industrializzate, occidentalizzandosi progressivamente. Più in generale, mira a promuovere la partecipazione e l'autosviluppo delle comunità.

ETNIA

La parola etnia è problematica, a volte quasi sospetta, addirittura bandita come sinonimo di razza. Si può ridefinire il termine nel senso greco; etnia, presso gli antichi, è parte del tutto, una provincia di un territorio complessivo; Ippocrate la usa per denominare una parte del corpo umano; altrove esprime la dimensione di un localismo che però fa parte di una totalità che si riconosce come tale, un gruppo umano specifico che fa parte della specie umana. I popoli nelle loro caratteristiche specifiche sono dei casi di una specie, sono individualità, manifestazioni particolari episodiche dell'umanità, che è molteplicità.
L'uso non ideologico del termine etnia traduce la parola inglese tribe, usata ad esempio dagli stessi rifugiati nei campi profughi africani per indicare il gruppo con cui condividono tradizioni, storia, lingua e collocazione geografica all'interno della loro comunità nazionale.

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HIV/AIDS

È la sigla di Acquired Immuno Deficiency Syndrome o sindrome da immunodeficienza acquisita, malattia determinata dal virus HIV (Human Immunodeficiency Virus) che attacca e riduce le difese dell'organismo umano. II 96% della popolazione mondiale affetta dal virus HIV vive nei paesi poveri del mondo (ammonta a circa 34-35 milioni) e il 70% vive nell'Africa subsahariana (il 90% se si considerano le persone con meno di 15 anni).

IMMIGRATO

Indica la persona nata all'estero, che si è installata nel paese della sua attuale residenza, che abbia o no acquistato la nazionalità del paese di residenza. Questa nozione è utilizzata soprattutto per determinare la popolazione di origine straniera residente sul territorio dello stato.
Spesso si tende a utilizzare erroneamente questa definizione anche per indicare i figli nati nei paesi di accoglienza dei genitori stranieri immigrati (le cosiddette seconde generazioni). Queste sono persone che, seppur marcate dalle tracce del percorso migratorio dei genitori, costituiscono una categoria giuridica e socioculturale specifica, per i diversi aspetti sociologici, psico-sociali e antropologico-culturali che li distinguono.

INTEGRAZIONE

L'integrazione è un processo graduale che indica la capacità di confrontare e di scambiare - in una posizione di parità e di partecipazione - valori, norme, modelli di comportamento, sia da parte dell'immigrato che da parte della società ospitante; i nuovi residenti diventano così dei partecipanti attivi alla vita economica, sociale, civica, culturale e spirituale del paese d'immigrazione. L'aspetto interrelazionale è essenziale nella nozione d'integrazione, la quale implica la mescolanza delle culture ed esclude la giustapposizione.
Il concetto di integrazione si oppone alla nozione di assimilazione.
Essa suppone l'integrazione comunicativa, cioè l'integrazione fra gli strumenti e la rete di comunicazione della società ospitante, da una parte, e gli strumenti e la rete di comunicazione delle comunità immigrate dall'altra.
L'interdipendenza, il confronto, lo scambio, la posizione di parità caratterizzano dunque il modello socioculturale dell'integrazione. Allo scopo di eliminare certe ambiguità che potrebbero risultare dall'uso corrente della parola "integrazione" - incorporazione di una parte di un tutto - potremmo scegliere, come suggeriscono alcuni autori, l'espressione di integrazione nella pluralità.

È lo sviluppo concettuale più coerente con il prefisso "inter" di interculturalità, che vuol dire scambio, reciprocità, appunto inter-azione.
Da non confondere con integrazione, poiché quest'ultima è una strategia più sociale che educativa. Accettare e favorire l'interazione significa operare per l'apertura, l'incontro, il contagio, la contaminazione delle culture.

LAVORO MINORILE

La convenzione internazionale 138 dell'ILO, Organizzazione Internazionale del Lavoro, fissa l'età minima per incominciare a lavorare a 14 anni. Applicando questo parametro, e stando ai dati disponibili, l'Africa - con almeno 80 milioni di africani tra i cinque e i 14 anni costretti a lavorare - è di gran lunga il continente con la percentuale più elevata di bambini lavoratori rispetto alla popolazionein termini assoluti. Il Mali detiene il record con il 54,5% della popolazione infantile occupata, seguono il Burkina Faso, con il 51%, l'Etiopia, con il 42,3% e il Kenya con il 41,2%. Ma il primato mondiale in termini assoluti spetta all'Asia con circa 150 milioni di bambini occupati su un totale di 250 milioni. Il problema riguarda anche America Latina, soprattutto Haiti, Guatemala e Brasile, nonchè Europa e Stati Uniti, in cui 1 bambino ogni 100 viene impiegato in attività economiche. Per quanto è possibile rilevare, il numero dei bambini costretti a lavorare sta crescendo rapidamente ovunque e si prevede che possa raggiungere i 100 milioni entro il 2015.

Il termine "multiculturale" si riferisce alle situazioni sociali, culturali, scolastiche, in cui comunità e individui di appartenenza e riferimenti diversi convivono gli uni accanto agli altri.
È un termine utilizzato spesso in maniera descrittiva, neutra, volto a esprimere la "pluralità di fatto" di una situazione, senza peraltro dire come si intende intervenire per favorire l'incontro, lo scambio, la reciprocità, o viceversa, per l'assimilazione e la separazione. Quando il termine viene utilizzato come indirizzo progettuale, si assume una certa posizione che opera per favorire la coesistenza dei gruppi e delle culture.

PREGIUDIZIO

Il pregiudizio è la formulazione di un'opinione preconcetta, di una persona o di un gruppo sociale, emessa frettolosamente e in anticipo, non per conoscenza diretta di un fatto quanto piuttosto in base alle opinioni comuni o alle voci. È un atteggiamento che, pur essendo fortemente soggettivo, tende ad affermarsi come verità oggettiva all'interno di un gruppo, di cui si sostiene la dimostrabilità in base a osservazioni empiriche o a luoghi comuni generalmente condivisi.

Teoria che esalta le qualità superiori di una razza e afferma la necessità di conservarla pura da ogni commistione con altre razze, respingendo queste o tenendole in uno stato di inferiorità.
Essa tende a identificare impropriamente come "razze" le varietà della specie umana e consiste in una classificazione gerarchica delle differenze del patrimonio genetico di individui e gruppi, al fine di affermare la presunta superiorità di una "razza" sull'altra (il cosidetto razzismo biologico). Attualmente, mentre questa forma di razzismo pseudo-scientifica è divenuta più rara, si riscontra una sua trasformazione ideologica consistente nell'assolutizzare le differenze culturali, considerate incompatibili (razzismo"culturale"o differenzialismo).
Sia il razzismo classico, sia tale neo-razzismo esigono la riduzione dell' individuo alle caratteristiche del suo gruppo, la stigmatizzazione delle differenze e la separazione/esclusione tra gruppi (apartheid).

RIFUGIATO

La definizione di rifugiato è contenuta nell'art. 1 A, par. 2 della Convenzione di Ginevra: è rifugiato colui che "temendo a ragione di esser perseguitato per questioni di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori dal paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo paese; oppure che, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori del paese in cui aveva residenza abituale a seguito di siffatti avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra."

Espressione francese che letteralmente significa "senza carte" e indica l'immigrato straniero che non possiede un regolare permesso di soggiorno per il paese nel quale risiede. Tra il 1998 e il 2000 in Francia il movimento dei "Sans-papiers" è stato protagonista di numerose manifestazioni di protesta per ottenere la regolarizzazione della condizione di immigrati e la concessione dei permessi di lavoro. Capo del governo francese era allora Lionel Jospin.

SFOLLATO

Come il rifugiato, è una persona perseguitata o minacciata che ha dovuto abbandonare la sua casa. A differenza del rifugiato, non ha varcato una frontiera internazionale riconosciuta, ma resta all'interno del suo paese di origine. Gli sfollati sono prevalentemente vittime di guerre civili. Il numero degli sfollati nel mondo è maggiore di quello dei rifugiati.

Percezione generalizzata, semplificata e distorta di un aspetto della realtà, che favorisce il sorgere e il mantenimento di pregiudizi. Le persone si servono di stereotipi riprodotti fissamente, che permettono di "economizzare" il pensiero, per mantenere il proprio sistema di valori ed acquisire una guida di comportamento. Si può parlare di stereotipo sociale quando tale visione viene condivisa da un gruppo. In questo caso gli stereotipi (su caratteri nazionali, sociali, razziali, di sesso) possono condurre a ideologie discriminatorie.

SVILUPPO SOSTENIBILE

È un processo di cambiamento tale per cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l'orientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali sono resi coerenti con i bisogni futuri oltre che con gli attuali. È uno sviluppo in grado di soddisfare i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri.

"Lo sviluppo che è in grado di soddisfare i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri."

Gro Harlem Brundtland, 1987

"Viviamo in un pianeta inserito in una delicata ed intricata rete di relazioni ecologiche, sociali, economiche e culturali che regolano le nostre esistenze. Se vogliamo raggiungere uno sviluppo sostenibile, dovremo dimostrare una maggiore responsabilità nei confronti degli ecosistemi dai quali dipende ogni forma di vita, considerandoci parte di una sola comunità umana, e nei confronti delle generazioni che seguiranno la nostra."

Kofi Annan

Il concetto di transcultura rimanda a qualcosa che attraversa la cultura. Si riferisce a tutto ciò che trascende la particolarità e la specificità delle singole culture, mirando all'individuazione di elementi universali, comuni a tutti gli esseri umani, a prescindere dal colore della pelle, dalla lingua, dalle modalità di pensiero o dalla religione.

UNICEF

United nations Children Found (Fondo delle Nazioni Unite per l'infanzia). E' l'agenzia specializzata dell'ONU, creta nel 1946, che si occupa di tutelare i diritti dei bambini in più di 150 paesi. Oltre che nell'aiuto umanitario ai bambini delle regioni colpite da guerre e carestie e nel supporto a iniziative scolastico-educative, la sua azione si è tradotta nella codificazione dei diritti dell'infanzia, che proprio grazie all'UNICEF hanno ottenuto uno speciale riconoscimento.

XENOFOBIA

La psicoanalisi classica definisce la fobia come una nevrosi che spesso paralizza o ostacola fortemente il contatto e si riferisce alla paura eccessiva e immotivata nei confronti di un elemento neutro (es. animale, luoghi chiusi) che, a livello inconscio, richiama delle problematiche o dei traumi rimossi. In base a questa definizione la xenofobia può essere tradotta come "la fobia dello straniero", che spesso si manifesta con odio fanatico e che sfocia in ideologie o pratiche razziste.


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